Commento del Dott. MIMMO CAROLA ( ins.to 17.04.2020)
I giudici della seconda sezione Civile della Corte di Cassazione con ordinanza n. 6313 del 5 marzo 2020 hanno ritenuto che la mancata “audizione personale” richiesta al Prefetto e “finalizzata all’integrazione orale delle argomentazioni difensive”, non comporta la nullità del provvedimento,
LA VICENDA
Un automobilista proponeva opposizione davanti al Giudice di Pace di Torino, che lo respingeva, avverso un verbale, elevatogli dalla polizia locale di Grugliasco, di accertamento per mancata comunicazione dati conducente. Alla decisione proponeva appello al Tribunale di Torino che confermava la decisione del giudice di prime cure, motivo di ricorso per cassazione lamentando diversi motivi tra i quali erroneità della decisione, vizio di falsa applicazione, omessa valutazione di fatto decisivo e mancata “audizione personale” richiesta al Prefetto dal ricorrente “finalizzata all’integrazione orale delle argomentazioni difensive”
LA DECISIONE
Gli Ermellini rigettano il ricorso ribadendo che la giurisprudenza più recente in tema di ordinanza ingiunzione per l’irrogazione di sanzioni amministrative, emessa in esito al ricorso facoltativo al Prefetto, ovvero a conclusione del procedimento amministrativo, la mancata audizione dell’interessato che ne abbia fatto richiesta in sede amministrativa non comporta la nullità del provvedimento, in quanto, riguardando il giudizio di opposizione il rapporto e non l’atto, gli argomenti a proprio favore che l’interessato avrebbe potuto sostenere in sede di audizione dinanzi all’autorità amministrativa ben possono essere prospettati in sede giurisdizionale. In relazione all’erroneità della decisione il Tribunale, confermando in punto la pronuncia del Giudice di prime cure, ha fatto corretta applicazione della disciplina dell’opposizione ad ordinanza ingiunzione con conseguente riaffermazione del potere rappresentativo del Prefetto, pienamente legittimato a svolgere gli atti che da tale rappresentanza naturaliter discendono. Inoltre la sollevata eccezione di non aver commesso il fatto è smentita per la sussistenza apposita documentazione fotografica anche se il ricorrente ne contesta, in modo inefficace, l’utilizzabilità perché acquisita da “ditta privata”. In ogni caso la validità della documentazione fotografica, relativa alla infrazione, non scrimina, al fine dei fatti, l’inottemperanza all’obbligo della comunicazione dalla quale è scaturita l’opposto verbale, per cui oggi è controversia. Ed ancora il ricorrente lamenta, nella sostanza, che il Tribunale aveva ritenuto inammissibili le domande “costituenti nova” ergo senza pronunciarsi sulle stesse. In effetti il Giudice territoriale, pur in presenza di un ricorso dallo stesso testualmente definito di difficile, per non dire impossibile, intellegibilità”, avrebbe dovuto esplicitare, con apposita individuazione, quelle domande nuove. In conclusione la Corte ritiene fondato esclusivamente il ricorso afferente la liquidazione delle spese processuali in quanto palesemente errata ed in violazione dei parametri normativi di determinazione delle stesse.
Corte di Cassazione, seconda sezione Civile, ordinanza n. 6313 del 5 marzo 2020
Fatti di causa
Misciattelli Daniele, con atto fondato su sette motivi, ricorre per la cassazione della sentenza n. 6013/2015 del Tribunale di Torino.
Con tale decisione veniva rigettato l’appello, interposto dall’odierno ricorrente, avverso la sentenza del Giudice di Pace di Torino in data 14 aprile 2014 con cui era stata respinta l’opposizione avverso il verbale di accertamento, di cui in atti. Trattavasi, in particolare, di verbale elevato dalla Polizia Municipale di Grugliasco per violazione dell’art. 126-bis c.p.c. con ingiunzione del pagamento della somma di C 590,60. L’intimata Prefettura di Torino ha depositato mera memoria di costituzione tardiva al solo dichiarato fine di partecipare all’udienza di discussione.
Il ricorso viene deciso ai sensi dell’art. 375, ult. co . c.p.c. con ordinanza in camera di consiglio non essendo stata rilevata la particolare rilevanza delle questioni di diritto in ordine alle quali la Corte deve pronunciare.
Ragioni della Decisione
Con il primo motivo del ricorso si censura, ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c., il vizio di violazione e/o falsa applicazione di varie norme di legge. In sostanza il ricorrente lamenta l’erroneità della decisione per cui è ricorso in punto di rappresentanza processuale del Prefetto innanzi al Giudice di Pace ed alla sua facoltà di compiere atti. Il motivo è infondato e va respinto.
Il Giudice di appello, confermando in punto la pronuncia del Giudice di prime cure, ha fatto corretta applicazione dell’art. art. 6 del D.L.vo n. 150/2011 con conseguente riaffermazione del potere rappresentativo Prefetto. Quest’ultimo era, quindi, pienamente legittimato a svolgere gli “atti che da tale rappresentanza naturaliter discendono”.
Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di falsa applicazione degli artt. 342, 345 e 112 c.p.c. per omessa pronuncia su una domanda (art. 360, n. 3 e 4 c. p.c.) Il ricorrente lamenta, nella sostanza, che il Tribunale riteneva inammissibili le domande “costituenti nova” quindi senza pronunciare sulle stesse. In effetti il Giudice di appello, pur in presenza di un ricorso dallo stesso testualmente definito “di difficile (per non dire impossibile) intellegibilità”, avrebbe dovuto esplicitare , con apposita individuazione, quelle domande nuove. Tuttavia, in dispregio degli oneri di doverosa allegazione ad esso incombenti in virtù del noto principio di autosufficienza, il ricorrente non trascrive né dà conto di quali domande avesse a suo tempo formulato. Pertanto la Corte non viene messa in grado di vagliare quali fossero tali domande e se effettivamente nuove. Il motivo è inammissibile.
Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta l’omessa valutazione di un fatto decisivo per la decisione della controversia con conseguente violazione dell’art. 126-bis C.d.S. ai sensi dell’art. 360, n.ri 3 e 5 c.p.c.. Il fatto, secondo la prospettazione di parte ricorrente sarebbe la “eccezione di non aver commesso il fatto”. Ma risulta la sussistenza apposita documentazione fotografica anche se la parte ne contesta, in modo inefficace, l’utilizzabilità perché acquisita da “ditta privata”. In ogni caso la validità della detta documentazione fotografica (relativa alla contravvenzione originaria) non scrimina, al fine che qui rileva, l’inottemperanza all’obbligo della comunicazione donde è scaturito l’opposto verbale, per cui oggi è controversia, ex art. 126-bis C.d.S. .
Il motivo va, dunque, respinto.
Con il quarto motivo del ricorso si prospetta il vizio di omessa valutazione di un fatto decisivo. Parte ricorrente lamenta la mancata “audizione personale” richiesta al Prefetto dal ricorrente e “finalizzata all’integrazione orale delle argomentazioni difensive”. Sempre secondo la prospettazione della parte ricorrente il Tribunale non avrebbe tenuto conto di ciò, affermando che “nulla prova che diritto dell’appellante sia stato in qualsivoglia modo leso”. Il motivo non può essere accolto. Secondo ormai consolidata giurisprudenza “in tema di ordinanza ingiunzione per l’irrogazione di sanzioni amministrative – emessa in esito al ricorso facoltativo al Prefetto, ai sensi dell’art. 204 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, ovvero a conclusione del procedimento amministrativo ex art. 18 della legge 24 novembre 1981, n. 689, la mancata audizione dell’interessato che ne abbia fatto richiesta in sede amministrativa non comporta la nullità del provvedimento, in quanto, riguardando il giudizio di opposizione il rapporto e non l’atto, gli argomenti a proprio favore che l’interessato avrebbe potuto sostenere in sede di audizione dinanzi all’autorità amministrativa ben possono essere prospettati in sede giurisdizionale.” ( Cass. Sez. U, Sent. 28 gennaio 2010, n. 1786). Tale orientamento risulta ancor più consolidato a seguito di altra più recente pronuncia di questa stessa Corte, la quale ha ribadito che “in tema di ordinanza ingiunzione per l’irrogazione di sanzioni amministrative – emessa in esito al ricorso facoltativo al Prefetto, ai sensi dell’art. 204 del d.lgs. n. 285 del 1992, ovvero a conclusione del procedimento amministrativo ex art. 18 della I. n. 689 del 1981 – la mancata audizione dell’interessato che ne abbia fatto richiesta in sede amministrativa non comporta la nullità del provvedimento, in quanto, riguardando il giudizio di opposizione il rapporto e non l’atto, gli argomenti a proprio favore che l’interessato avrebbe potuto sostenere in sede di audizione dinanzi all’autorità amministrativa ben possono essere prospettati in sede giurisdizionale.” ( Cass., Sez. 6-2, Ord. 7 agosto 2019, n. 21146). Il motivo – anche in assenza di ogni allegazione su una effettiva lesione del diritto di difesa- va, pertanto, respinto.
Con il quinto motivo del ricorso si deducono con contemporaneo richiamo ai numeri 3, 4 e 5 dell’art. 360 promiscuamente molteplici vizi di varia natura. Il motivo, attesa la sua promiscuità, va dichiarato inammissibile. Al riguardo non può che richiamarsi la giurisprudenza, in punto, di questa Corte, secondo cui “costituisce causa di inammissibilità del ricorso per cassazione l’erronea sussunzione del vizio, che il ricorrente intende far valere in sede di legittimità, nell’una o nell’altra fattispecie di cui all’art. 360 cod. proc. civ. ” ( Cass. , Sez. Terza, Sent. 117 settembre 2013, n. 21165). Tale condiviso orientamento risulta per di più confermato recentemente da altra pronuncia di questa Sezione, secondo cui “il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleate dal codice di rito.” ( Cass., Sez. 6-2, Ord. 14 maggio 2018, n. 11603). Il motivo è, quindi, inammissibile.
Con il sesto motivo del ricorso si deducono promiscuamente, con contemporaneo richiamo ai numeri 3, 4 e 5 dell’art. 360, molteplici vizi di varia natura quali violazione dell’art. 115 c.p.c., omessa pronuncia, omesso esame di un fatto decisivo, violazione degli artt. 122 e 133 D.L.vo n. 167/2000, 11, 18 e 19 D.L.vo n. 196/2003. Il motivo, attesa la sua promiscuità e l’indistinto richiamo di vari parametri processuali, deve essere dichiarato – al pari e per le stesse ragioni già innanzi esposte sub 5- inammissibile.
Con il settimo motivo parte ricorrente lamenta la violazione del D.M. n. 55/2014 ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c.. Il motivo è fondato e va, conseguentemente, accolto. Il valore della causa, ragguagliato correttamente all’entità della somma dovuta a titolo di sanzione per la consumata contravvenzione era di euro 519. La condanna alle spese processuali per l’importo di euro 2.800,00 è, quindi, palesemente errata ed in violazione dei parametri normativi di determinazione delle spese.
La sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, al Giudice indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili il secondo, quinto ed il sesto motivo del ricorso, rigetta il primo, il terzo ed il quarto motivo dello stesso, accoglie il settimo e, per l’effetto, cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per spese, al Tribunale di Torino in diversa composizione.