Ho scelto di trattare questo argomento in quanto ripetutamente mi giungono richieste da parte di operatori addetti ai controlli, di chiarimenti per fattispecie relative alla presenza di amianto, argomento disciplinato da molteplici normative sulle quali ho ritenuto doveroso soffermarmi dettagliatamente nelle distinte cinque parti del lavoro che ho inteso predisporre a chiarimento della problematica e che verranno integralmente pubblicate nella rivista secondo l’ordine cronologico indicato nella presente premessa. La scelta di suddividere il lavoro in cinque distinte parti è dovuta al fatto che sono diversi gli aspetti tecnico giuridici che interessano il fenomeno derivante dall’amianto ed è per questo necessario disporre di adeguato spazio per approfondire, nella sua totalità, l’argomento cercando di non appesantire, più di tanto, chi legge. Nella prima seconda e terza parte, denominata “La rimozione dell’amianto dagli edifici: procedure e modalità operative diverse” verrà preso in esame la presenza dell’amianto nelle costruzioni e le modalità di rimozione dello stesso a mezzo di Ordinanza sindacale proprio per questo, nella terza parte, verrà proposta una bozza di ordinanza da poter utilizzare nei casi di bisogno. La quarta e quinta parte, invece, denominate “Procedure operative in materia di abbandono di rifiuti contenenti amianto (illeciti penali e sanzioni amministrative)” saranno dedicate ai rinvenimenti di rifiuti abbandonati contenenti amianto con indicazione delle procedure da seguire e gli atti da redigere da parte degli operatori addetti ai controlli.
La rimozione dell’amianto dagli edifici: procedure e modalità operative diverse procedure operative in materia di abbandono di rifiuti in amianto.
Parte I L’amianto: cos’è?
Parte II La normativa e il divieto di utilizzare materiale in amianto.
Parte III La rimozione dell’amianto dagli edifici: ordinanza sindacale a tutela della salute pubblica.
Procedure operative in materia di abbandono di rifiuti in amianto.
Parte IV L’amianto come rifiuto
Parte V Le ipotesi di violazioni relative ai rifiuti in amianto
La rimozione dell’amianto dagli edifici: procedure e modalità operative diverse.
In greco la parola amianto significa immacolato e incorruttibile e asbesto, così come può essere anche chiamato, significa perpetuo e inestinguibile. L’amianto, o asbesto, è una sostanza minerale naturale a struttura microcristallina, di aspetto fibroso appartenente alla classe chimica dei silicati e alle serie mineralogiche del serpentino e degli anfiboli. In natura l’amianto è molto diffuso in quanto i silicati rappresentano uno dei componenti fondamentali della crosta terrestre. La struttura fibrosa dell’amianto è molto addensata e particolarmente sottile. Per rendere l’idea di quanto siano compatte e numerose le fibre in amianto, basti pensare che in 1 mm si possono disporre circa 25 capelli, mentre di fibre di amianto ce ne stanno ben 33.500 circa.
“La struttura fibrosa dell’amianto è molto addensata e particolarmente sottile”
Una storia lunga.
La tipologia strutturale delle fibre di amianto attribuisce a tale minerale particolari caratteristiche che ne hanno determinato un largo uso e impiego soprattutto tra gli anni 60 e 80. Addirittura lo portavano sempre con sé i pompieri, nelle loro uniformi. Resiste al fuoco e al calore, all’azione di agenti chimici e biologici, all’abrasione e all’usura (termica e meccanica), isola tetti, pareti e tubature. È facilmente filabile e può essere tessuto. Si lega facilmente con alcuni polimeri (gomma, PVC) e materiali da costruzione (calce, gesso, cemento). In composizione con il cemento forma il fibrocemento, che è altresì un marchio registrato, brevettato nel 1901 dall’austriaco Ludwig Hatschek come “Eternit”. Praticamente è un minerale indistruttibile, non infiammabile, molto resistente all’attacco degli acidi e alla trazione, flessibile, dotato di buone capacità assorbenti, facilmente friabile. Grazie alla sua grande versatilità e al costo contenuto, è stato usato ampiamente e per anni nelle industrie edilizie e per fabbricare prodotti di consumo in mezzo mondo. L’utilizzo dell’amianto sembra essere cominciato addirittura nel 3000 a.C. quando veniva aggiunta l’Atonfillite nella terractta per rinforzare le stoviglie fabbricate in quel materiale. Si racconta, poi, che Carlo Magno indossasse una coperta di amianto per impressionare gli amici in giochi da fochista.
È una sostanza cancerogena
Le sottilissime fibre di amianto attribuiscono al materiale un alto livello di pericolo per la salute umana, che si determina quando esiste lapossibilità che esse siano inalate. La presenza in sé di amianto non implica necessariamente un danno per la salute. Il rischio di inalazione di fibre è strettamente legato alla friabilità del materiale. I materiali contenenti amianto, pertanto, vengono classificati come friabili e compatti:
Friabili: possono essere facilmente sbriciolati o ridotti in polvere con semplice azione manuale;
Compatti: materiali duri (ad esempio, cementoamianto), che possono essere sbriciolati o ridotti in polvere solo con l’impiego di attrezzi meccanici.
Il pericolo concreto per la salute umana è, come su evidenziato, legato alla dispersione delle fibre che possono essere diffuse nell’aria a seguito della manipolazione o lavorazione di materiali che le contengono. Può verificarsi dispersione spontanea nel caso di materiali friabili usurati o sottoposti a vibrazioni, correnti d’aria, urti. Per i materiali compatti contenenti amianto, come le coperture degli edifici in cemento amianto (eternit), il rischio è, in generale, molto basso ed è comunque legato allo stato di manutenzione dei materiali che possono diventare un rischio se abrasi o danneggiati. Gli immobili che contengono amianto compatto, ove è garantito che non sussista rischio di dispersione delle fibre, non è considerato fonte di pericolo e quindi risulta legittimo, in base alla normativa vigente, il relativo uso. È verso gli anni 60 che si iniziò a dubitare della sicurezza e non pericolosità delle fibre di amianto. Vari scienziati nel mondo denunciarono la sua cancerogenicità ma ovviamente i grandi colossi della produzione Eternit fecero finta di nulla, minimizzando il problema.
“In 1 mm si possono disporre circa 25 capelli, mentre di fibre di amianto ce ne possono essere quasi 33.500”
Un Killer silenzioso…
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, sono oltre 100 mila persone nel mondo, 15 mila in Europa, che perdono la vita ogni anno a causa delle neoplasie indotte dell’inalazione delle fibre di amianto. Il nostro paese ne è stato il maggiorconsumatore e il secondo produttore in Europa, dopo la Russia, con oltre 5 milioni e 600 mila tonnellate di amianto grezzo utilizzate in ogni settore industriale e civile che si sono trasformate in 32 milioni di tonnellate di cemento-amianto. Oltre 560 mila lavoratori ne sono venuti a contatto, in ogni comparto professionale, dall’edilizia alla cantieristica fino alle forze armate. Ecco perché il nostro è uno dei paesi più colpiti: l’amianto continua a causare la morte e la malattia di oltre 3mila persone in Italia ogni anno, secondo le stime dell’Associazione italiana di oncologia medica. La sua bonifica è una grande opera di risanamento ambientale che sconta, oltre la cronica mancanza di fondi, enormi ritardi, in parte dovuti al mancato coordinamento tra stato, regioni e comuni. Dal 1992, con la legge n. 257 del 12 marzo 1992, l’Italia ha messo al bando l’amianto.
Finalmente arriva la primavera e con sé porta significative ed interessanti novità per coloro che circolano sul territorio italiano con veicoli immatricolati in Stati esteri, U.E. ed extra U.E.
Da lunedì 21 marzo 2022 entreranno in vigore le modifiche al C.d.S. apportate dalla Legge n. 238 del 23 dicembre 2021, che ricordo hanno introdotto nel codice l’ art. 93bis oltre a riformulare l’ art. 132, modificare l’ art. 94 e l’ art. 196 ed abrogare le disposizioni del vecchio decreto sicurezza contenute nell’art.93. La norma prescriveva l’ entrata in vigore il 19 marzo 2022 ma per problematiche tecniche legate all’ Aci è stata rinviata al 21 marzo.
In virtù delle predette modifiche, che sono state illustrate nei precedenti articoli pubblicati sul magazine il 17 ed il 30 gennaio 2022, i cittadini italiani o stranieri residenti in Italia, non proprietari, ed utilizzatori di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi immatricolati in Stati esteri, nella loro disponibilità per un periodo di tempo superiore a 30 giorni, anche non continuativi, nell’ arco temporale di un anno solare, dovranno registrarli al nuovo registro tenuto dall’ ACI PRA, denominato RE.V.E., acronimo di: registro veicoli esteri.
Al Re.V.E. andranno registrati anche i veicoli immatricolati all’ estero e presi a noleggio, comodato o leasing, per periodi superiori a 30 giorni, anche non continuativi nell’ anno solare, da persone giuridiche aventi sede in Italia.
Nel nuovo elenco, costituito nel sistema informativo del PRA, dovranno essere annotate le seguenti operazioni:
Prima registrazione del veicolo;
Cancellazione del veicolo per fine disponibilità in capo al soggetto, ad esempio al termine di un contratto di noleggio non più rinnovato;
Variazione di residenza o sede della persona fisica o giuridica che ha la disponibilità del veicolo;
Proroga di utilizzazione del veicolo, ad esempio in caso di proroga del contratto di noleggio;
Successive variazioni della disponibilità del veicolo in capo a soggetti terzi per periodi superiori a 30 giorni, anche non continuativi, nell’ anno solare.
Dovranno iscrivere il proprio veicolo al Re.V.E. anche coloro che, in qualità di lavoratori subordinati o autonomi, svolgono la loro attività lavorativa o professionale in uno Stato confinante o limitrofo con l’ Italia e che circolano, sul territorio nazionale, con veicoli di loro proprietà immatricolati in tale Stato. Sono Stati confinanti la Francia, la Svizzera, l’ Austria, la Slovenia, Città del Vaticano mentre sono Stati limitrofi quelli che, pur non confinanti, sono relativamente vicini al territorio nazionale e quindi raggiungibili dal lavoratore in tempi ragionevolmente brevi quali, ad esempio, il Principato di Monaco, la Germania, il Principato del Liechtenstein, la Croazia. ( Circolare Aci del 15/03/2022 prot. DPFA AOODIR 029/0000580/22). Tale registrazione dovrà essere effettuata entro 60 giorni dall’ acquisizione della proprietà del veicolo se il soggetto è già residente in Italia, oppure nel caso in cui tali soggetti decidano di stabilire la loro residenza in Italia dopo l’acquisto del veicolo all’ estero, dovranno, una volta acquisita la residenza e sempre che la loro attività lavorativa sia svolta in uno Stato confinante o limitrofo, effettuare la registrazione al Re.V.E. in alternativa all’ immatricolazione in Italia entro 3 mesi dalla data di acquisizione della residenza stessa.
Anche se non obbligatorio sarà possibile registrare al Re.V.E., per coloro che intendano farlo, anche la disponibilità del veicolo immatricolato all’ estero per periodi di tempo inferiori ai 30 giorni, anche non continuativi, nell’ anno solare. A tal fine si rammenta che, in tali casi, il conducente dovrà avere a bordo, durante l’ ordinaria circolazione ed esibire a richiesta degli organi di controllo, contratto di cessione del veicolo ( ad esempio: contratto di noleggio o comodato d’ uso) tradotto in Italiano, sottoscritto dalle parti e recante data certa dal quale si evinca il titolo e la durata della disponibilità.
Per quanto attiene al discorso relativo alle modalità di formazione della data certa si rinvia alla circolare del Ministero dell’ Interno prot. 300/A/245/19/149/2018/06 del 10/01/2019 paragrafo 8.7. oppure alla Circolare Aci del 15/03/2022 prot. DPFA AOODIR 029/0000580/22.
Sono previste delle esenzioni dall’ iscrizione al Re.V.E. per :
I cittadini residenti nel comune di Campione d’ Italia;
Il personale civile e militare dipendente da pubbliche amministrazioni in servizio all’ estero e loro familiari conviventi all’ estero;
Il personale delle Forze armate e di polizia in servizio all’ estero presso organismi internazionali o basi militari e loro familiari conviventi all’ estero;
I conducenti, residenti in Italia da oltre 60 giorni, che guidano veicoli, immatricolati nella Repubblica di San Marino, nella disponibilità di imprese aventi sede nel territorio sammarinese, con le quali i conducenti sono legati da rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione continuativa.
Per quanto riguarda le modalità di iscrizione al Re.V.E. i soggetti interessati dovranno presentarsi agli uffici del PRA o in alternativa agli S.T.A. (sportelli telematici dell’ automobilista) utilizzando apposita istanza che riceveranno dai dipendenti preposti e nella quale renderanno le dichiarazioni richieste ai sensi del D.P.R. 445/2000, muniti di: copia della carta di circolazione estera, idoneo documento tradotto in italiano, sottoscritto dalle parti e recante data certa antecedente e dal quale si evinca il titolo e la durata della disponibilità del veicolo (ad esempio il contratto di noleggio) ed ovviamente il documento di riconoscimento.
Dopo aver effettuato la procedura al richiedente verrà rilasciata una specifica attestazione comprovante l’ avvenuta registrazione che l’ utilizzatore potrà esibire alle forze di polizia in caso di controllo su strada.
In caso di problemi tecnici causati da blocchi o rallentamenti del sistema informatico ACI o problemi tecnici o operativi sulla singola pratica, che impediscano il regolare espletamento della richiesta, è previsto il rilascio di un permesso provvisorio di circolazione che si allega al presente articolo in versione pdf.
Si rammenta, inoltre, che nelle carte di circolazione di veicoli immatricolati in ambito Europeo i dati dell’ utilizzatore diverso dal proprietario, ove presenti, sono indicati dai codici armonizzati C.3 (C.3.1-C.3.2.-C.3.3). Per tali carte di circolazione non sarà necessario allegare la traduzione asseverata.
Il costo dell’ operazione è stimata, se effettuata al PRA, in 27€ di emolumenti ACI e 16€ di imposta di bollo, mentre per e registrazioni successive alla prima il costo sarà di € 13,50 di emolumenti ACI e 16€ di imposta di bollo.
Per quanto attiene alle modalità di accesso al Re.V.E., lo stesso è un registro pubblico e le modalità e condizioni di accesso saranno le stesse previste per gli accertamenti all’ archivio PRA. Per chi avrà la necessità di effettuare visure oppure ottenere certificati relative all’ iscrizione al Re.V.E. esse saranno a pagamento: le visure 6€, le certificazioni 25€ (9€ emolumenti più 16€ imposte di bollo).
Dalla direzione centrale Aci Pra di Roma è stato comunicato che sul sito internet www.aci.it, sarà reso disponibile un nuovo servizio che, a fronte dell’ inserimento dei dati del veicolo estero: stato estero e targa di immatricolazione, fornirà il numero di identificativo del veicolo al Re.V.E. cosiddetto ID. Tale ID costituirà la chiave di accesso al Re.V.E. per i veicoli in esso registrati, sia in sede di consultazione che in occasione di pratiche successive alla prima.
Giova precisare per quanto riguarda l’ aspetto operativo della circolazione su strada, il veicolo regolarmente iscritto al Re.V.E, per tutta la durata del periodo di registrazione, sarà equiparato al veicolo italiano, pertanto, il conducente non dovrà più esibire il documento tradotto in Italiano, sottoscritto dalle parti e recante data certa, il veicolo potrà essere condotto da chiunque, inoltre, per qualsiasi violazione alle norme di comportamento previste dal C.d.S. non si applicheranno più le disposizioni prescritte dall’ art. 207 C.d.S., relative al pagamento in contanti o versamento della cauzione nelle mani degli agenti accertatori ed in caso negativo il relativo fermo amministrativo per 60 giorni con affidamento a custode acquirente.
In caso di mancanza temporanea del permesso provvisorio di circolazione, qualora non sia possibile verificare attraverso il collegamento PRA che il veicolo è effettivamente registrato, sarà possibile invitare il conducente ai sensi dell’ art. 180 c.8 ed effettuare successivamente le verifiche del caso.
Dal punto di vista sanzionatorio l’ art. 93bis c.2 e c.9 prevede che al conducente, non proprietario, che sarà sorpreso a circolare con l’autoveicolo, il motoveicolo o rimorchio, in mancanza di iscrizione al Re.V.E. e nella sua disponibilità per un periodo di tempo superiore a 30 giorni, anche non continuativi, nell’ anno solare in corso, si applicherà la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da €712,00 a €3.558,00 con P.M.R. pari ad € 712,00 e relativa riduzione del 30% se pagato entro 5 giorni, pari ad €498,40 troveranno applicazione, in tal caso, le disposizioni previste dall’ art. 207 C.d.S..
Il documento di circolazione sarà immediatamente ritirato e trattenuto presso l’organo di polizia fino all’ adempimento della prescrizione omessa. In caso di circolazione abusiva durante il periodo in cui il documento di circolazione è ritirato si applicherà, in caso di prima infrazione, la sanzione prevista dall’ art. 216 c.6, quindi la sanzione amministrativa pecuniaria da € 2046,00 ad € 8.186,00, in tal caso non è consentito il pagamento in misura ridotta della violazione ed il verbale sarà inviato al Prefetto competente per territorio entro 10 giorni dalla data di accertamento della violazione. Il veicolo sarà sottoposto a fermo amministrativo per 3 mesi ed affidato, secondo le disposizioni di cui all’ art.214, al trasgressore o ad altro soggetto opportunamente indicato nel documento da tenere a bordo ed indicante il titolo, la disponibilità e recante data certa.
Come già detto in precedenza, per periodi di disponibilità del veicolo inferiori ai 30 giorni, anche non continuativi nell’ anno solare in corso, il conducente, non proprietario, durante la circolazione su strada dovrà avere con sé, ed esibire a richiesta degli organi di controllo, un documento, tradotto in italiano, sottoscritto dalle parti e recante data certa dal quale si evinca il titolo e la durata della disponibilità del veicolo. La mancanza temporanea di tale documento sarà sanzionata ai sensi dell’ art. 93bis c.2 e c.8 con la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da €250,00 a €1.000,00 con P.M.R. pari ad € 250,00 e relativa riduzione del 30% se pagato entro 5 giorni, pari ad €175,00 troveranno applicazione, in tal caso, le disposizioni previste dall’ art. 207 C.d.S..
Il documento di circolazione sarà immediatamente ritirato ed il veicolo sottoposto a fermo amministrativo fino all’ esibizione del documento mancante e fino ad un massimo di 60 giorni, il conducente sarà invitato ad esibire il documento mancante entro 30 giorni, decorso infruttuosamente questo periodo a carico del conducente si applicherà la sanzione di cui all’ art. 94c.3 C.d.S. con decorrenza dei termini per la notifica dal giorno successivo alla scadenza del termine stabilito per l’ esibizione (il 31° giorno).
In conclusione, alla luce delle succitate novità normative e pratiche, chi scrive non può che prendere atto che il legislatore nazionale ha avuto l’ arduo compito di trovare un equilibrio fra l’ esigenza di tutelare la sicurezza stradale e l’ esigenza di garantire in Italia la libera circolazione di capitali, e con la suddetta norma ha fatto un salto di qualità in avanti. Tuttavia non è riuscito a risolvere del tutto la problematica relativa all’ estero vestizione dei veicoli circolanti in Italia e sono ancora notevoli le difficoltà per chi si troverà dal 21 marzo 2022 ad operare in strada. Mi riferisco alle forze di polizia che non hanno l’ accesso al PRA, alla difficoltà di verificare il possesso del veicolo per i 30 giorni “non continuativi” nell’ anno solare da parte di cittadino residente in Italia, a tal proposito autorevole dottrina (Dott. G. Protospataro- webinar Egaf su: “Esterovestizione – novità.” del 25 gennaio 2022) proponeva come probabile soluzione l’ inserimento a SDI dei contratti di noleggio o comodato brevi. Chi scrive nutre notevoli perplessità in merito, visto già l’elevata mole di lavoro dei commissariati di P.S. delle grandi città Italiane, che da lunedì 21 marzo sarebbero sommersi dalle richieste delle varie polizie locali di Italia che ad oggi non hanno ancora l’ accesso diretto allo SDI per i veicoli.
A ciò si aggiunge le diverse ipotesi di artifizi o raggiri cui si presta la norma, fra cui l’ intestazione fittizia al Re.V.E. che, al momento, non trova ipotesi sanzionatorie all’ interno del C.d.S. né si può procedere per analogia ai sensi dell’ art. 94bis c.2 C.d.S.. Dal punto di vista di eventuali illeciti penali, riconducibili a quest’ ultima problematica non sarà semplice l’accertamento e le relative condanne penali.
Dopo poco più di 70 anni dalla sua promulgazione la Costituzione della Repubblica ha, di recente, subito una modifica ad uno dei primi articoli che contengono i principi fondamentali della Repubblica.
I dodici articoli iniziali, fino ad oggi, non avevano mai subito variazioni in quanto in essi erano consacrati i valori fondamentali dello Stato Italiano. Eppure oggi qualcosa è cambiato, è emersa una maggiore sensibilità per l’ ambiente che ci circonda. Questa sensibilità ha indirizzato il legislatore nazionale a valicare i confini ideologici e le logiche di partito ed ha consentito l’ approvazione di una legge costituzionale votata quasi all’ unanimità dei parlamentari presenti ed in tempi rapidi.
E’ stata, infatti, approvata la legge costituzionale n.° 1 del 11/02/2022, pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica il 22/02/2022 ed entrerà pienamente in vigore il 09/03/2022, tale legge modifica gli articoli 9 e 41 della Carta Costituzionale.
Ma veniamo in ordine, la predetta legge costituzionale ha subito due distinte votazioni per ogni camera a distanza di almeno 3 mesi l’ una dall’ altra ed in ogni votazione finale, ha ottenuto la maggioranza dei 2/3 dei componenti di ogni camera. Per questa ragione, secondo il dettato Costituzionale sancito nell’ art. 138 della Carta, non si darà luogo a referendum Costituzionale.
La predetta legge costituzionale è composta di soli 3 articoli e mette mano, in maniera incisiva, al tema ambientale fino ad ora inserito solamente nell’ art. 117 c.2 lettera “S”della Costituzione quale competenza esclusiva legislativa dello Stato.
L’ art. 1 della L.Cost. n.° 1/2022 ha modificato l’ art. 9 della Costituzione aggiungendo il comma 2 al predetto articolo che così recita: “ Tutela l’ ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’ interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.”
Vengono inseriti quindi due nuovi principi che la Repubblica Italiana si impegna a tutelare: il primo principio riguarda la tutela ambientale espresso in un accezione ampia che tiene conto delle biodiversità e dei diversi ecosistemi presenti sul territorio variegato del nostro bel paese ed il secondo di tutela degli animali, attraverso la previsione di una riserva di legge Statale che ne disciplini le forme ed i modi (art.3 L.Cost. 1/22).
La cosa che però salta subito agli occhi è la presa di coscienza del legislatore italiano della necessità di lasciare alle generazione future un ambiente migliore, infatti, per la prima volta nella Costituzione della Repubblica si cita espressamente la necessità di tutelare l’ ambiente “nell’ interesse delle generazioni future”.
All’ art.2 la legge costituzionale succitata sono previste modifiche all’ art. 41 della costituzione, di seguito riportate in grassetto, che di fatto introducono limiti alla libera attività imprenditoriale privata.
Le citate modifiche stabiliscono che l’ iniziativa economica privata non può svolgersi in danno alla salute ed all’ ambiente. Infatti l’ art. 41 della Costituzione viene così modificato:
“ L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’ utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’ attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata ai fini sociali e ambientali.”
In virtù di questa spiccata sensibilità ambientale, sfuggita all’ assemblea costituente di fine anni quaranta del secolo scorso e mostrata dal legislatore attuale sembra, a parere di chi scrive, che nel futuro prossimo le imprese che vorranno intraprendere attività economiche sul territorio italiano dovranno soddisfare criteri ambientali più severi o almeno si spera, affinché, in futuro non assisteremo più ad aggressioni scellerate del territorio ed a scempi come quello dell’ ex Italsider (prima Ilva) di Bagnoli che dopo quasi 120 anni dalla nascita e 30 anni dalla dismissione ha lasciato sul territorio partenopeo ancora evidenti cicatrici.
(di Luca Leccisotti, formatore in materia appalti pubblici)
Nelle gare telematiche di appalti pubblici, l’aspetto da valutare se ricorrere ad una seduta pubblica è sempre attuale.
Punto di partenza: in che fase di gara di solito si deve prevedere la seduta pubblica e cosa si intende per tale?
Scindiamo i momenti di gara:
Verifica amministrativa (apertura delle buste – virtuali – che contengono i documenti di partecipazione)
Apertura busta tecnica
Valutazione Offerta economica
Apertura busta economica
Valutazione offerta economica
Valutazione aggregata di offerta economica ed offerta tecnica
Proposta di aggiudicazione
Di solito la seduta pubblica (e cioè l’invito del pubblico inclusi i partecipanti alla gara nella stanza o area dove vengono eseguite le operazioni di apertura della documentazione di gara) era prevista per le gare cartacee (che da ottobre 2018 non sono più consentite, salvo qualche caso particolare). In pratica il RUP (e non la commissione come spesso accade ancora…) apriva materialmente le buste e ne verificava che il contenuto era in linea con la documentazione da presentare. Ovviamente il pubblico presenziava, ma non poteva esaminare personalmente tutti i documenti estratti. Al limite poteva fare delle osservazioni o degli appunti da mettere a verbale. Ma di certo non poteva intervenire nelle attività procedimentali.
Ad oggi, dopo che lo svolgimento delle gare telematiche è diventato la modalità univoca di gestione degli appalti, spesso ci si chiede o si va in difficoltà se prevedere o meno la “seduta pubblica”.
Tecnicamente prevedere una seduta pubblica in presenza non la vedo una strada percorribile anche perché, nei fatti come si svolgerebbe? Il rup dietro al suo pc che apre le buste telematiche e il pubblico seduto in sala? A far che? Oppure il Rup con il suo PC proietta le immagini della verifica amministrativa e il pubblico lo vede sullo schermo? No, non credo che sia fattibile anche perché verrebbero mostrati dei dati personali presenti sulle istanze di partecipazione e i partecipanti non avrebbero titolo a poter visionare e trattare quei tipi di dati.
L’unica soluzione possibile è quella della seduta pubblica da remoto a cui consentono le piattaforme telematiche. Le operazioni visibili sono solo i log di sistema e gli avanzamenti dell’istruttoria del RUP. Non vengono visualizzati i documenti presenti nella documentazione amministrativa.
Nelle gare pubbliche con gestione telematica, il principio di pubblicità delle sedute deve essere rapportato alle peculiarità e specificità che l’evoluzione tecnologica ha consentito di mettere a disposizione delle procedure di gara telematiche, in ragione del fatto che la piattaforma telematica assicura l’intangibilità del contenuto delle offerte indipendentemente o meno dalla presenza del pubblico
Recentemente una ditta aveva partecipato ad una gara e poiché non vincitrice aveva impugnato l’aggiudicazione contestando l’omessa pubblicità delle procedure di gara lamentando che le offerte della gara non sarebbero state aperte in seduta pubblica.
Il Tar Umbria con sentenza n.949 del 14 dicembre 2021 ha precisato che “in sintonia col mutato quadro ordinamentale, la lex specialis della gara ha previsto la gestione integrale della gara in totale modo telematico” accogliendo il principio che l’utilizzo di un sistema telematico assicura l’intangibilità del contenuto delle offerte, indipendentemente dalla presenza o meno del pubblico.
Pertanto vista l’evoluzione tecnologica delle piattaforme telematiche di gara, la seduta pubblica è un istituto in via di estinzione.
Come avevamo previsto nel nostro articolo del 31 dicembre 2021 relativo al commento della sentenza della Corte di Giustizia Europea, VI sezione, del 16 dicembre 2021 il legislatore italiano non ha perso tempo per apportare modifiche al Codice della strada.
Lo ha fatto per evitare diverse procedure di infrazione che avrebbero portato l’ Italia a pagare sanzioni di notevole importo all’ Unione Europea.
In realtà le predette modifiche al C.d.S. erano già presenti in un disegno di legge di origine governativa, presentato al Parlamento al fine di adempiere agli obblighi derivanti dall’ appartenenza dell’ Italia all’ Unione Europea- legge europea 2019-2020- ed approvato dalla Camera dei deputati il 01/04/2021, modificato successivamente dal Senato della Repubblica il 3 novembre 2021, pertanto, il testo è ritornato alla Camera per l’approvazione, secondo il principio del bicameralismo perfetto insito nell’ ordinamento giuridico della nostra Repubblica, ed è stato approvato in via definitiva il 21 dicembre 2021.
E’ stata, finalmente, pubblicata poche ore fa, il 17 gennaio 2022 la Legge 23 dicembre 2021 n.°238, G.U. n.12 del 17/01/2022.
Le modifiche introdotte sono rilevanti per coloro che residenti in Italia circolano con veicoli immatricolati all’ estero. Alcune saranno immediatamente efficaci, dopo il periodo di vacatio legis, il 01/02/2022 mentre altre entreranno in vigore decorsi 60 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale per espressa volontà del legislatore e probabilmente per emanare decreti attuativi.
Le nuove modifiche sono inserite nell’ art. 2 del disegno di legge approvato n.° A.C. 2670-B, precisamente al comma 1 vengono espressamente abrogate, con effetto immediato dalla data di pubblicazione in gazzetta, tutte le disposizioni del cosiddetto “pacchetto sicurezza” D.L. 113/2018 convertito in legge 132/2018, voluto dall’ allora Ministero dell’ Interno Salvini.
Nello specifico sono abrogate le disposizioni di cui all’ art. 93 C.d.S. c.1bis, c.1ter,c1 quater, c1 quinquies,c7 bis e c.7ter, di conseguenza viene meno il divieto generale per chi è residente in Italia da più di 60 giorni di condurre veicoli immatricolati all’ estero. Con la decadenza dello stesso vengono meno tutte le deroghe e non sentiremo più parlare di noleggio comunitario da ditta estera non avente sede effettiva o secondaria in Italia.
Le nuove modifiche prevedono l’ introduzione di un nuovo articolo dopo l’ art. 93, rubricato art. 93bis “ Formalità necessarie per la circolazione degli autoveicoli, motoveicoli e rimorchi immatricolati in uno Stato estero e condotti da residenti in Italia.”
Già dalla lettura della rubrica del nuovo art.93bis appare evidente che anche questa volta il legislatore ha volutamente tenuto fuori dalla riforma i ciclomotori, per essi continuerà ad applicarsi il regime di ammissione alla circolazione internazionale previsto dalla Convenzione internazionale di Vienna del 8 novembre 1968.
Al c.1 del nuovo art. 93bis viene introdotto il precetto che dispone che gli autoveicoli, motoveicoli e rimorchi immatricolati all’ estero, a nome di una persona fisica che abbia acquisito la residenza in Italia, possono circolare in Italia a condizione che devono essere immatricolati nel nostro paese entro 3 mesi dall’ acquisizione della residenza da parte del proprietario secondo le disposizioni di cui agli articoli 93 e 94 C.d.S.. Questa disposizione, una volta pubblicato il disegno di legge in gazzetta ufficiale, sarà da subito efficace.
Al nuovo art. 93bis c. 2 è introdotta la prescrizione secondo cui: quando alla guida del veicolo immatricolato all’ estero vi è persona diversa dall’ intestatario presente sulla carta di circolazione a bordo del veicolo dovrà obbligatoriamente essere presente un documento sottoscritto dall’ intestatario del veicolo e recante data certa dal quale si evinca il titolo e la durata della disponibilità del veicolo in capo al soggetto terzo. Anche questa volta, così come accaduto nella precedente formulazione dell’ art. 93c.1bis del 2018, nel testo del nuovo articolo il legislatore ha dimenticato di inserire un particolare importante ossia che il documento deve essere tradotto in Italiano, probabilmente, come già accaduto in passato verrà inserito in una nuova circolare esplicativa.
Sempre nel c.2 del nuovo articolo 93bis viene inserito un nuovo obbligo a carico di colui che utilizza il veicolo, sia esso persona fisica residente in Italia o persona giuridica avente sede in Italia, diverso dall’ intestatario dello stesso, che prevede la registrazione presso un nuovo elenco che verrà appositamente istituito nel sistema informativo del P.R.A. di cui all’ art. 94 c.4ter, quando la disponibilità del veicolo supera i 30 giorni, anche non continuativi in un anno solare.
Tale elenco per espressa previsione del legislatore italiano che ha appositamente inserito con la nuova riforma all’ art. 94 del C.d.S. il c.4ter sarà pubblico. In questo caso chi scrive nutre qualche perplessità in ordine al trattamento dei dati personali ed al rispetto delle norme contenute nel regolamento U.E. 679/2016 denominato G.D.P.R. e D. L.gs 196/03 in materia di privacy.
L’ annotazione in questo nuovo elenco sarà obbligatoria ogni qual volta il veicolo sia ceduto nella disponibilità di un nuovo soggetto oppure in caso di trasferimento di residenza o di sede se si tratta di persona giuridica. In tal caso l’ aggiornamento dovrà essere fatto a cura di chi ha la disponibilità del veicolo entro 3 giorni.
Il nuovo c.2 dell’ art. 93bis prevede, inoltre, una nuova disposizione di carattere generale che genererà, ad avviso dello scrivente, non poca confusione, almeno fino a quando non ci sarà un decreto attuativo o una circolare esplicativa. Essa recita testualmente: “ Ai veicoli immatricolati in uno Stato estero si applicano le medesime disposizioni previste dal presente codice per i veicoli immatricolati in Italia per tutto il tempo in cui risultano registrati nell’ elenco dei veicoli di cui all’ art. 94 comma 4ter.” cosa vorrà dire il legislatore? Sarà una nuova deroga al principio sancito dall’ art. 207 C.d.S. relativo al pagamento in contanti delle sanzioni amministrative per violazioni alle norme previste dal C.d.S.? Vedremo.
Ad ogni modo le disposizioni previste al comma 2 del nuovo art.93bis entreranno in vigore decorsi 60 giorni dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della nuova legge.
Anche questa volta nel nuovo art.93bis sono inserite delle deroghe che sono più o meno le stesse di quelle previste nel c.1 quinquies del vecchio ed ancora vigente art.93, questa volta però sono state integrate da due nuove ed importanti precisazioni. La prima riguarda i lavoratori frontalieri, subordinati od autonomi che effettuano un attività lavorativa in un paese membro confinante con l’Italia, i quali circolano con i veicoli immatricolati all’ estero ed intestati agli stessi. Ebbene questi lavoratori avranno comunque l’ obbligo di registrarli nel predetto elenco P.R.A. entro 60 giorni dall’ acquisizione della proprietà del veicolo e tali veicoli potranno essere condotti anche dai familiari conviventi che hanno la residenza in Italia.
E’ prevista, inoltre, una deroga importante in attuazione dei principi indicati nella Sentenza della Corte di Giustizia Europea VI^ Sezione del 16 dicembre 2021, secondo cui le disposizioni del nuovo art. 93bis c1 e c2 non si applicano qualora il proprietario del veicolo, residente all’ estero, sia presente a bordo del veicolo.
Per quanto attiene l’ apparato sanzionatorio non è stato totalmente stravolto.
Al c.7 del nuovo art.93bis è stata introdotta, per il proprietario del veicolo che decorsi i 3 mesi non immatricola il veicolo in Italia o non effettua la registrazione nell’ elenco istituito presso il P.R.A. entro 60 giorni dall’ acquisizione della proprietà se lavoratore frontaliero e ne consente la circolazione, la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da €400 ad €1.600 con sequestro amministrativo del veicolo e ritiro della carta di circolazione, secondo le norme di cui all’ art.213 C.d.S., in quanto compatibili, ed intimazione ad immatricolare il veicolo in Italia o ad effettuare la prescritta annotazione nel registro entro 30 giorni (non più 180 giorni come prima). In alternativa il proprietario del veicolo può chiedere all’ organo accertatore, una nuova incombenza quindi per le forze di polizia, l’ autorizzazione a lasciare , per la via più breve, il territorio dello Stato Italiano per condurre il veicolo oltre confine.
In caso in cui il proprietario del veicolo non ottemperi, nei termini, alle intimazioni dell’ organo accertatore o non conduca il veicolo oltre confine, quando autorizzato, troverà applicazione la confisca amministrativa del veicolo ed in caso di circolazione abusiva si applicheranno le sanzioni di cui all’ art. 213c.8 per circolazione con veicolo sottoposto a sequestro amministrativo.
La mancanza del prescritto documento a bordo del veicolo che indica il titolo e la durata della disponibilità, sottoscritto dal proprietario e recante data certa, è sanzionata come prima con la sanzione amministrativa pecuniaria da 250€ a 1000€ e con il fermo amministrativo del veicolo fino all’ esibizione del documento mancante che dovrà avvenire entro 30 giorni,la durata del fermo tuttavia, come prima, non potrà superare i 60 giorni. In caso di mancata esibizione del documento entro i termini previsti, si applicherà la sanzione di cui all’ art. 94c.3 C.d.S. (da 727€ a 3.629€) con decorrenza dei termini per la notifica dal giorno successivo a quello stabilito per la presentazione dei documenti.
Per chi invece non effettuerà la registrazione nell’ apposito elenco del P.R.A. o non procederà a comunicare le successive variazioni di disponibilità o il trasferimento di residenza o di sede è prevista la sanzione amministrativa pecuniaria da 712€ a 3.558€ con ritiro immediato della carta di circolazione che sarà restituita solo al termine delle prescrizioni omesse. La circolazione con carta di circolazione ritirata sarà sanzionata ai sensi dell’ art.216 c.6.
E’ sempre previsto il pagamento in misura ridotta delle sanzioni con lo sconto del 30% se oblate nei 5 giorni ed in linea di massima si continuerà ad applicare, almeno fino a quando non ci saranno chiarimenti per quanto riguarda i veicoli correttamente registrati, le disposizioni previste dall’ art. 207 C.d.S. relative al pagamento diretto nelle mani dell’ agente accertatore o del versamento cauzione e relativo fermo amministrativo con affidamento a custode acquirente in caso di inottemperanza a tali disposizioni.
E’ stato modificato, inoltre, l’ art.196 del C.d.S. ultimo periodo, relativo alla responsabilità solidale, la nuova disposizione prevede: “ Nei casi indicati dall’ art. 93bis, delle violazioni commesse risponde solidalmente la persona residente in Italia che abbia a qualunque titolo la disponibilità del veicolo, risultante dal documento di cui al c.2 del medesimo articolo 93bis, se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà.”
Sostituito, in ultimo, anche l’ art. 132 del C.d.S., la vecchia formulazione, totalmente abrogata, era di difficile applicazione concreta, nella nuova formulazione viene introdotta la formula “condotti da non residenti in Italia”.
Il nuovo art.132 verrà così rubricato: “Circolazione dei veicoli immatricolati in uno Stato estero condotti da non residenti in Italia.” Ferma restando la vecchia prescrizione, riportata nel nuovo articolo integralmente al c.1, che consentiva la circolazione dei predetti veicoli sul territorio dello Stato Italiano, con i documenti di circolazione dello Stato di origine, per un periodo di tempo non superiore ad un anno dall’ adempimento delle formalità doganali o a quelle di cui all’ art.53 c.2 della L. 427/93 se prescritte il nuovo art. 132al c.2 introduce una deroga al divieto generale di cui al c.1 del predetto articolo quando il veicolo è di proprietà del personale straniero o dei familiari conviventi, in servizio presso organismi o basi militari internazionali aventi sede in Italia, i predetti soggetti sono ammessi a circolare per tutta la durata del mandato.
L’iter sanzionatorio è identico a quello previsto dall’ art.93bis c.7 ed è prevista questa volta in casi di mancato rispetto delle disposizioni di cui al c.1 dell’ art.132 l’interdizione all’ accesso sul territorio nazionale.
Ebbene ricordare sempre che le disposizioni previste da questi due articoli possono sempre concorrere con le norme doganali quando il veicolo proviene da paesi extra comunitari. Ragion per cui nel caso l’ organo accertatore verifichi la violazione delle norme doganali, per espressa previsione del Ministero dell’ Interno, le stesse prevalgono su quelle del codice della strada e l’ organo accertatore, dopo le formalità previste dal D.P.R. 43/73 e ss.mm.ii. cosiddetto T.U.L.D. in capo all’ agenzia delle dogane, in accordo con la stessa applicherà, quanto compatibili, le sanzioni amministrative accessorie previste dal C.d.S.
In conclusione, a parere di chi scrive, era ora che il legislatore Italiano mettesse mano definitivamente alla normativa che senza dubbio recava dei profili di violazione ai diritti collegati alla cittadinanza europea, c’è da dire però che anche questa volta a causa di un eccessiva fretta, dovuta alla necessità di bloccare le procedure di infrazione avanzate dall’ Unione Europea, ha “partorito” una riforma non proprio del tutto nitida, che si presterà ad una serie di dubbi ed interpretazioni che se non ben chiariti con una o più circolari dettagliate o con precisi decreti attuativi genereranno sempre una vasta zona grigia nella quale si anniderà quel substrato di attività fraudolenta che da sempre si è posto l’ obiettivo di contrastare.
Note: Quanto sopra rispecchia esclusivamente l’ interpretazione dell’ autore il quale non risponde dei danni derivanti dall’ uso improprio dei dati e delle notizie contenute nell’ articolo.
Dopo tre anni di distanza dall’entrata in vigore delle modifiche normative introdotte dal legislatore italiano nell’art. 93 del codice della strada ad opera del cosiddetto Decreto sicurezza, D.L. 113 del 2018 convertito in legge 132/2018, il cui nobile intento era di porre un freno al dilagante fenomeno dell’ estero vestizione, è arrivato, come un fulmine a ciel sereno, un primo stop da parte della Corte di Giustizia Europea.
A dire il vero gli attenti operatori del settore, appartenenti alle varie forze di polizia nazionali e locali nonché parte della dottrina sin dal esordio del nuovo divieto inserito nel c.1bis dell’ art. 93 del Cds avevano sollevato l’evidente contrasto con il principio della libera circolazione delle persone, merci e capitali stabilito dai Trattati fondamentali dell’ Unione Europea.
Tuttavia con l’ introduzione delle deroghe nel su menzionato art. 93 Cds, dapprima al c. 1ter in sede di elaborazione della nuova norma e poi al c1. Quinques, ad opera del primo decreto semplificazioni D.L. 76/2020 convertito con modificazioni nella L.120 del 2020, appariva superato il conflitto di norme, la cosiddetta antinomia, fra la norma nazionale e quella Unionale.
Ma alla fine la Corte di Giustizia Europea ha bocciato la norma del cosiddetto “decreto sicurezza” relativa al divieto per i veicoli con targa estera di circolare in Italia se condotti da cittadino residente in Italia da oltre 60 giorni, quando il veicolo venga affidato al cittadino a titolo di comodato d’ uso gratuito. Lo ha fatto evidenziando il forte impatto discriminatorio, proprio nei confronti del popolo Italiano, della norma e la non corrispondenza della stessa alla tutela di un interesse generale.
Da una breve disamina della sentenza de quo, emergono particolari fondamentali che smantellano ad uno ad uno le giustificazioni addotte dal Governo italiano in giudizio davanti ai giudici della Corte.
Per chi non ha tanta dimestichezza col diritto dell’ Unione Europea ebbene precisare che le sentenze della Corte di Giustizia Europea fanno testo nella normativa nazionale degli stati membri, la Corte interpreta il diritto dell’ Unione Europea in modo che lo stesso venga applicato uniformemente in tutti gli Stati membri.
Le sentenze interpretative della Corte Europea vincolano il giudice nazionale italiano, il quale in un eventuale giudizio sottoposto alla sua competenza, dovrà disapplicare la norma nazionale in contrasto con l’ordinamento giuridico europeo. Rappresentano, inoltre, un precedente vincolante anche per gli altri giudici degli Stati membri.
Per fare un paragone con quanto accade in Italia, le sentenze della Corte di giustizia Europea hanno lo stesso effetto per i giudici degli Stati membri delle sentenze della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, nella sua funzione nomofilattica, per i giudici italiani esse costituiscono il precedente giuridico vincolante.
Ma veniamo in ordine, Il ricorso alla Corte U.E. è di natura incidentale, ed ai sensi dell’ articolo 267 del TFUE viene inoltrato dal Giudice di pace di Massa Carrara alla Corte, per una causa sottoposta allo stesso che vedeva coinvolto una coppia di coniugi, la moglie residente all’ estero ed il marito residente in Italia il quale veniva sorpreso a circolare, dalla polizia stradale, all’ uscita di un supermercato con un veicolo immatricolato in Slovenia a nome della stessa moglie anche ella presente a bordo del veicolo in quell’ occasione.
Si trattava quindi di un mero comodato d’uso gratuito fra privati, che comunque era in contrasto, all’ epoca dei fatti, con l’ art. 93c 1 bis e 7bis Cds , pertanto gli agenti operanti hanno applicato correttamente la norma in esame e comminato loro una sanzione amministrativa con annesso sequestro del veicolo indicandogli la possibilità di esportare il veicolo all’ estero con targhe e foglio di via ai sensi dell’ art. 99 Cds oppure di reimmatricolare il veicolo in Italia.
I due hanno proposto ricorso al Giudice di pace di Massa Carrara il quale ravvisando, nel divieto previsto dalla norma italiana di cui all’ art. 93 c.1 bis C.d.S., violazione dei diritti fondamentali sanciti dal Trattato sul funzionamento dell’ Unione Europea ha sospeso il giudizio ed inoltrato tutto alla Corte di giustizia Europea.
Il giudice italiano “ha inoltre ritenuto che l’anzidetto divieto costituisca, da un lato, una discriminazione fondata sulla nazionalità e, d’altro lato, una limitazione all’esercizio di taluni diritti riconosciuti quali il diritto alla libera circolazione e soggiorno” sanciti dagli articoli 18,21,26,45 eda 49 a 62 del T.F.U.E.
Per questo, ha chiesto il pronunciamento della giustizia europea.
Ebbene la predetta Corte, nelle questioni pregiudiziali, ha sottolineato che un prestito, a titolo gratuito, fra due cittadini residenti in Stati membri diversi per uso transfrontaliero di un autoveicolo costituisce, prima di tutto, un movimento di capitali sancito dall’ art. 63 del T.F.U.E. il quale prevede “ specifici divieti di discriminazione” ed ha ritenuto inapplicabili gli altri articoli richiamati dal Giudice onorario Italiano ad eccezione dell’ art. 21 del T.F.U.E. relativo al diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.
Il diritto di un cittadino dell’ Unione di contrarre prestiti in un’ altro Stato membro, ai sensi dell’ art. 63 del T.F.U.E., non può essere assoggettato a restrizioni imposte dalla normativa degli Stati membri, pertanto trattandosi il comodato d’ uso gratuito fra cittadini dell’ Unione, di un prestito che consente la facoltà di utilizzo della cosa prestata non può essere assoggettato a restrizioni.
L’ art. 93 c. 1 bis e c. 7bis del C.d.S. italiano, nella parte in cui vieta al cittadino residente in Italia da più di 60 giorni, di circolare con un veicolo concessogli a titolo di comodato d’ uso gratuito da altro cittadino residente in altro Stato membro, di fatto lo obbliga ad un adempimento eccessivamente oneroso quale l’ immatricolazione in Italia, il pagamento della tassa di circolazione Italiana e della relativa copertura assicurativa di un veicolo già immatricolato ed assicurato in uno Stato membro e per il quale la tassa di circolazione, ove esistente, sia stata pagata già in quello Stato.
Pertanto la predetta norma costituisce una restrizione incompatibile con il principio di libera circolazione dei capitali all’ interno del territorio dell’ Unione Europea ed una discriminazione per i cittadini italiani.
A nulla sono servite le cause di giustificazione della restrizione sollevate dal Governo Italiano il cui obiettivo principale esposto alla Corte è stato quello di evitare che cittadini residenti in Italia, mediante l’ utilizzo abituale sul territorio nazionale di veicoli immatricolati all’ estero, possano commettere illeciti quali il mancato pagamento delle tasse, dei pedaggi autostradali, eludere sanzioni amministrative previste dal C.d.S. , fruire di premi assicurativi più vantaggiosi ed in ultimo la notevole difficoltà per le forze di polizia Italiane di procedere all’ identificazione degli effettivi conducenti.
L a Corte ha ribadito, nella sentenza de quo in risposta al lamentato mancato introito delle tasse da parte del Governo Italiano, la possibilità per lo Stato membro di assoggettare ad un’ imposta di immatricolazione “un autoveicolo immatricolato in un altro Stato membro, qualora tale veicolo sia destinato ad essere essenzialmente utilizzato nel territorio del primo Stato membro in via permanente oppure venga, di fatto, utilizzato in tal modo”. (Sentenza del 26/07/2021, van Putten, daC-578/10 a C-580/10, EU:C:2012:246, punto 46 e giurisprudenza ivi citata.).
La Corte ha, inoltre, stabilito che le giustificazioni del Governo Italiano di prevenire gli abusi che possano commettersi con un veicolo immatricolato all’ estero non possono basarsi su una “ presunzione generale di abuso”.
Le conclusioni a cui giunge la Corte sono: “L’ art. 63, paragrafo 1 del T.F.U.E. deve essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro che vieta a chiunque abbia stabilito la propria residenza in tale Stato membro da più di 60 giorni di circolarvi con un autoveicolo immatricolato in un’ altro Stato membro, a prescindere dalla persona alla quale il veicolo è intestato, senza tener conto della durata di utilizzo di detto veicolo nel primo Stato membro e senza che l’ interessato possa far valere un diritto ad un ‘esenzione, qualora il medesimo veicolo non sia destinato ad essere essenzialmente utilizzato nel primo Stato membro a titolo permanente né sia, di fatto, utilizzato in tal modo.”
In sostanza la Corte invita il giudice italiano e conseguentemente il governo Italiano a tener conto della temporaneità dell’utilizzo del veicolo sul territorio nazionale e del suo utilizzo a titolo di comodato d’ uso gratuito da parte di soggetto residente in Italia da più di 60 giorni.
Sarà necessario, a parere dello scrivente, una nuova e più chiara riformulazione dell’ art. 93 del C.d.s. che tenga conto di quanto indicato dalla Corte e che introduca magari la possibilità di registrazione a titolo gratuito, presso l’ Agenzia delle Entrate, dei contratti di comodato d’ uso gratuito di veicoli immatricolati in Unione Europea e ceduti, ad esempio, per periodi superiori a 30 giorni a cittadini italiani, un po’ come avviene per i veicoli immatricolati in Italia concessi in uso a terzi secondo il disposto di cui all’ art. 94 c.4bis C.d.S ed introduca dei limiti temporali, in osservanza al disposto della Corte, all’ utilizzo di tali veicoli. Affinché gli stessi non vengano utilizzati esclusivamente sul territorio Italiano ed in caso di inosservanza dei limiti temporali si applichi anche la tassa di immatricolazione secondo l’ ordinamento giuridico Europeo, così come ribadito anche nella predetta sentenza della Corte di Giustizia.
Oppure sempre a titolo esemplificativo, per consentire agli organi di controllo di comprendere la data di inizio del comodato d’ uso transfrontaliero, l’ apposizione sui contratti di una data certa, secondo le procedure indicate nel codice dell’ amministrazione digitale di cui al D. Lgs 82/05, che sia facilmente verificabile dai predetti organi.
Staremo a vedere se e come il legislatore italiano intenderà uniformarsi alla predetta sentenza, sta di fatto che ognuno di noi comprende benissimo la difficoltà e la delicatezza degli interessi in gioco e degli eventuali e successivi sviluppi negativi per le pubbliche amministrazioni Italiane in caso di condanna in giudizio, nonché per gli stessi agenti operanti dal momento in cui la Costituzione Italiana all’ art. 28 introduce delle precise responsabilità per i dipendenti pubblici.
In virtù di quanto suddetto mi sento di consigliare di operare nel controllo di veicoli immatricolati all’ estero con molta oculatezza e diligenza.
Nell’ auspicio di assistere nel futuro prossimo ad una nuova normativa nazionale più efficace, rispettosa dei principi sanciti dal diritto primario dell’ Unione Europea e che non si tramuti nell’ ennesimo “ liberi tutti” che ci farebbe ritornare in un attimo ad un passato che sembrava dimenticato.
Dott. Luigi Ambrosino
Il lavoro che di seguito vi propongo, riguarda la mancata rimozione di amianto da immobile Comunale, prende spunto da un quesito formulatomi da appartenenti ad un Comando di Polizia Locale che sinteticamente viene così di seguito riportato .
IL CASO
“ L’ ASL, a seguito di ricorso, segnala al Comune la presenza di potenziale pericolosità derivata da materiali in amianto presenti su due manufatti, uno dei quali di proprietà dello stesso Comune. Tale pericolosità dipende dalla possibilità, valutata dai tecnici, che dai materiali contenenti amianto presenti sulle strutture vengano rilasciate fibre aerodisperse nell’ambiente che possono venire inalate da chi frequenta detti luoghi . Il Comune ha provveduto ad ordinare ai proprietari degli immobili la rimozione del materiale in amianto e di conseguenza gli stessi hanno ottemperato al disposto Sindacale eliminando il pericolo, mentre l’immobile di proprietà del Comune non è stato bonificato proprio per inerzia della Pubblica Amministrazione. L’esponente (destinatario dell’ordinanza) chiede informazioni alla Polizia Municipale.
Come comportarsi???
Risposta :
La mancata rimozione dell’Amianto: la responsabilità del Comune
Purtroppo casi del genere, dovuti a pubbliche amministrazioni che vengono meno ai propri doveri, nel caso di specie mancata rimozione di materiale in amianto, accadono di frequente.
Infatti, nel quadro rappresentato dal quesito in esame, non sono solo i soggetti privati a venire gravati di precisi obblighi di intervento; esistono infatti, chiari doveri della Pubblica Amministrazione e dei suoi dipendenti posti a garanzia del funzionamento del sistema delineato dal legislatore, il cui rispetto è una precondizione fondamentale.
In questo caso, proprio la natura pubblica del soggetto titolare del bene sul quale vi è l’obbligo di intervento consente di richiedere un grado di diligenza superiore a quella che si richiederebbe a un soggetto privato nella medesima situazione, ritenendo esigibili e non sproporzionate tutte le iniziative necessarie a impedire o quanto meno a limitare gli eventi contestati che hanno oltretutto ricaduta sulla salute pubblica.
Secondo il Consiglio di Stato, (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 20 ottobre 2020, n 6326; Cons. Stato, Sez. V, 28 maggio 2019, n. 3518), quando si tratta di un ente pubblico, istituzionalmente preposto alla gestione di un bene pubblico, non è sufficiente aver genericamente preso misure per evitare il verificarsi dell’evento, né aver adottato le misure richieste dalla diligenza media del buon padre di famiglia in quanto le stesse devono essere commisurate al ruolo di garanzia e di tutela che un ente pubblico deve avere nei confronti di beni e diritti la cui rilevanza è presidiata a livello costituzionale quali l’ambiente e la salute pubblica.
Senza ombra di dubbio, il Comune, proprietario dell’immobile, al pari del soggetto privato, è tenuto alla rimozione del pericolo derivante dalla presenza di materiale in amianto, l’omessa rimozione e/o attivazione del procedimento atto ad eliminare la fonte dell’inquinamento si traduce immediatamente in una precisa responsabilità del pubblico funzionario e del Sindaco che vi erano tenuti, in base alle rispettive competenze rivestite.
Gli impiegati dipendenti dalle Pubbliche amministrazioni possono infatti essere chiamati a rispondere del loro operato sul piano penale e anche patrimoniale davanti alla Corte dei Conti, a seguito di un giudizio civile che abbia condannato la P.A. al risarcimento di un danno procurato a terzi da un proprio dipendente (danno erariale indiretto), di un giudizio davanti al giudice amministrativo in cui la P.A. sia stata condannata a risarcire i danni causati a privati cittadini (danno erariale indiretto) ovvero quando, a seguito di una condotta commissiva o omissiva, il dipendente abbia cagionato direttamente un danno alla P.A. (danno erariale diretto).
Deve pertanto affermarsi che nel vigente ordinamento esiste un preciso obbligo dell’Amministrazione Comunale di tutelare la salute pubblica e nel caso di rimuovere, al pari dei soggetti privati, l’amianto presente su immobile di sua proprietà. Infatti, la bonifica dei siti contaminati, costituisce uno strumento necessario di tutela delle risorse ambientali e della difesa della salute umana, rivestendo un ruolo importante anche ai fini della valorizzazione del territorio. Al riguardo la Corte Costituzionale ha affermato che le attività di bonifica sono attinenti allo sviluppo economico della produzione agricola, dell’assetto paesaggistico e urbanistico del territorio e alla difesa del suolo intesa in senso lato (cfr. Corte cost. 1992, n. 66, in Giur. Cost., 1992, p. 362).
Si tenga presente che in materia di bonifiche dei siti inquinati l’art. 250 del D.lgs 152/2006 stabilisce che “qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano nè il proprietario del sito nè altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi di cui all’articolo 242 sono realizzati d’ufficio dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla regione.
In tema di responsabilità del sindaco per gestione illecita di rifiuti va considerata la distinzione operata dall’art. 107 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali fra i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, demandati agli organi di governo, e i compiti di gestione attribuiti ai dirigenti, che delinea un quadro generale di riparto di responsabilità, rispetto al quale la responsabilità del Sindaco o va rinvenuta in concreto, in ragione della adozione diretta di iniziative idonee a determinare un effettivo contributo alla gestione incriminata, oppure, in presenza di una gestione effettuata attraverso soggetti interposti, viene in rilievo attraverso il dovere di attivazione del sindaco allorché gli siano note situazioni, non derivanti da contingenti ed occasionali emergenze tecnico-operative, che pongano in pericolo la salute delle persone o l’integrità dell’ambiente (Cass. Sez. III n. 13121 del 28 aprile 2020 (UP 6 feb 2020)
In particolare in tema di rifiuti, è stato precisato che, “anche a seguito dell’entrata in vigore dell’ordinamento degli enti locali (Dlgs 267 del 2000, e successive integrazioni), che ha conferito ai dirigenti amministrativi autonomi poteri di organizzazione delle risorse, permane in capo al sindaco sia il compito di programmazione dell’attività di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, sia il potere di intervento nelle situazioni contingibili e urgenti; sia il dovere di controllo sul corretto esercizio delle attività autorizzate.
Secondo pacifico orientamento giurisprudenziale << E’ responsabile del reato di omissione di atti d’ufficio (art. 328 c.p.), il sindaco che a fronte di reiterate denunce di organi pubblici nonchè di privati cittadini nell’arco temporale durato anni ha omesso di assumere qualunque iniziativa atta ad imporre al proprietario lo smaltimento di lastre di eternit (amianto) accatastate alla rinfusa ed all’aperto su di un terreno>> sentenza n.1657 del 16 gennaio 2020, Corte di cassazione VI sez.pen;
La responsabilità di cui all’art 328 c.p. travolge, oltre al Sindaco, anche il dirigente pubblico che non si adopera per eliminare il pericolo , in questo caso la responsabilità amministrativa, deve essere valutata in ordine alla possibilità per il dipendente pubblico di avere causato, mediante omissione o ritardo degli atti che l’ordinamento interno pone a sua disposizione.
L’inerzia della Pubblica amministrazione, dovuta all’ inadempienza ad obbligo di ripristino dello stato dei luoghi, previsto dalla legge, potrebbe, come si è già sopra osservato, tradursi in responsabilità penalmente rilevante sia per il Sindaco che per il Dirigente preposto infatti le fattispecie poste a garanzia degli obblighi di bonifica sono molteplici:
L’ art. 257, D. Lgs. N. 152/2006, che sanziona «chiunque cagiona l’inquinamento […] se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato»
L’art. 452-terdecies, c.p. “Omessa bonifica”, sanziona il non adempimento all’obbligo di bonificare.
Il primo è un reato d’evento (superamento delle CSR), integrato poi dalla condotta difforme dal piano approvato o dall’impedimento della formazione dello stesso (ad esempio omettendo la comunicazione ex art. 242 o non attuando il piano di caratterizzazione, cfr. Cass. pen. Sez. IV, Sent. n. 29627/2016)
Il secondo più grave reato è integrato dalla mera condotta omissiva, posto che presupposto dell’obbligo di bonifica è comunque un superamento delle soglie di rischio
Il reato di omessa bonifica
Il reato di omessa bonifica configura un illecito di tipo omissivo, nel quale l’obbligo giuridico di procedere alla bonifica, al ripristino o al recupero dello stato dei luoghi può discendere dalla legge, dall’ordine del giudice o da un provvedimento di un’autorità pubblica. L’articolo 452 terdecies del codice penale, inserito con la legge 22/05/2015 n. 68, prevede che “Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, essendovi obbligato per legge, per ordine del giudice ovvero di un’autorità pubblica, non provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero dello stato dei luoghi è punito con la reclusione da 1 a 4 anni e con la multa da € 20.000 a € 80.000”. Appare evidente che il delitto di cui all’art. 452 terdecies c.p. non si sovrappone con l’ipotesi contravvenzionale di cui all’ art. 257 del Dlgs 152/2006, comma 1, il quale prevede l’arresto da 6 mesi a 1 anno o l’ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro per chiunque cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio (Csr), se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli artt. 242 e seguenti.
L’art. 257 del Dlgs 152/2006, come modificato dalla legge n. 68/2015 ha introdotto una clausola di riserva “Salvo il fatto costituisca più grave reato”. Pertanto l’art. 257 predetto può trovare applicazione solo nell’ipotesi di un superamento delle soglie di rischio che non abbia raggiunto (quanto meno) gli estremi dell’inquinamento, ossia che non abbia cagionato una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili dei beni (acqua, aria, suolo ecc.) elencati dall’art. 452 bis c.p. (inquinamento ambientale) e limitatamente ai casi dell’omessa bonifica che deve essere realizzata secondo il relativo progetto approvato. Pertanto ricadono nel nuovo reato di omessa bonifica di cui all’art. 452 terdecies c.p. tutte le altre differenti condotte omissive.
Occorre rilevare che l’art. 452 terdecies c.p., a differenza dell’art. 257 Dlgs 152/2006, imputa l’obbligo di bonifica non solo a chi è prescritto per legge, ovvero l’autore della contaminazione, ma anche a colui che ha ricevuto l’ordine dall’autorità pubblica o dal giudice e prevede la contestazione del delitto anche in caso di omesso ripristino e di omesso recupero dello stato dei luoghi. Pertanto tra le due norme sussiste necessariamente un rapporto di specialità.
CONCLUSIONE
Prima di dare seguito alla richiesta di accesso agli atti da parte del soggetto interessato (che ha ottemperato all’Ordinanza di rimozione) è opportuno rivolgere formale richiesta all’ ufficio Ambiente del Comune e al Sindaco per conoscere il nominativo del responsabile del procedimento e le ragioni che sin alla data odierna non hanno permesso di rimuovere il materiale in amianto. La nota, e la conoscenza di diretti interessati al procedimento, potrebbe agire quale stimolo ad adempiere per entrambi i soggetti. Logicamente il delitto di omessa bonifica di cui all’art. 452 terdecies c.p è reato perseguibile d’ufficio e come tutti i procedimenti similari devono essere portati alla conoscenza dell’A.G. .
*..Dott. Giuseppe Aiello, Comandante della Polizia Municipale di LIONI (AV)
Docente e consulente in Ambiente della scuola giuridica di formazione DIRITTOITALIA / Scuola Regionale P.L. Campania, ecc.. Si occupa in particolare della tutela ambientale gestione dei rifiuti tecnica investigativa Ambientale, istituzione del servizio di ispettori ambientali comunali ed organizza, in qualità di docente, in queste specifiche materie, appositi corsi di formazione ed aggiornamenti riservati addetti ai controlli, appartenenti alla Polizia Locale, GAV , consulenti ambientali responsabili della gestione dei rifiuti, organizzati in proprio o da ENTI pubblici e privati. E’ relatore in numerosi convegni sulla tutela ambientale direttore della rivista telematica www.marcopolomagazine.it scrive su www.dirittoitalia.it
I Criteri Ambientali Minimi (CAM) sono i requisiti ambientali definiti per le varie fasi del processo di acquisto, volti a individuare la soluzione progettuale, il prodotto o il servizio migliore sotto il profilo ambientale lungo il ciclo di vita, tenuto conto della disponibilità di mercato.
I CAM sono definiti nell’ambito di quanto stabilito dal Piano per la sostenibilità ambientale dei consumi del settore della pubblica amministrazione e sono adottati con Decreto del Ministro dell’Ambiente della Tutela del Territorio e del mare.
La loro applicazione sistematica ed omogenea consente di diffondere le tecnologie ambientali e i prodotti ambientalmente preferibili e produce un effetto leva sul mercato, inducendo gli operatori economici meno virtuosi ad adeguarsi alle nuove richieste della pubblica amministrazione.
In Italia, l’efficacia dei CAM è stata assicurata grazie all’art. 18 della L. 221/2015 e, successivamente, all’art. 34 recante “Criteri di sostenibilità energetica e ambientale” del D.Lgs. 50/2016 “Codice degli appalti” (modificato dal D.Lgs 56/2017), che ne hanno reso obbligatoria l’applicazione da parte di tutte le stazioni appaltanti.
I CAM SONO OBBLIGATORI O SONO FACOLTATIVI?
CODICE APPALTI Art. 34. (Criteri di sostenibilità energetica e ambientale)
Le stazioni appaltanti contribuiscono al conseguimento degli obiettivi ambientali previsti dal Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione attraverso l’inserimento, nella documentazione progettuale e di gara, almeno delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei criteri ambientali minimi adottati con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e conformemente, in riferimento all’acquisto di prodotti e servizi nei settori della ristorazione collettiva e fornitura di derrate alimentari, anche a quanto specificamente previsto nell’articolo 144.
I criteri ambientali minimi definiti dal decreto di cui al comma 1, in particolare i criteri premianti, sono tenuti in considerazione anche ai fini della stesura dei documenti di gara per l’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ai sensi dell’articolo 95, comma 6. Nel caso dei contratti relativi alle categorie di appalto riferite agli interventi di ristrutturazione, inclusi quelli comportanti demolizione e ricostruzione, i criteri ambientali minimi di cui al comma 1, sono tenuti in considerazione, per quanto possibile, in funzione della tipologia di intervento e della localizzazione delle opere da realizzare, sulla base di adeguati criteri definiti dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
L’obbligo di cui ai commi 1 e 2 si applica per gli affidamenti di qualunque importo, relativamente alle categorie di forniture e di affidamenti di servizi e lavori oggetto dei criteri ambientali minimi adottati nell’ambito del citato Piano d’azione.
COME DEVONO ESSERERE APPLICATI I CAM?
la qualità, che comprende pregio tecnico, caratteristiche estetiche e funzionali, accessibilità per le persone con disabilità, progettazione adeguata per tutti gli utenti, certificazioni e attestazioni in materia di sicurezza e salute dei lavoratori, quali OSHAS 18001, caratteristiche sociali, ambientali, contenimento dei consumi energetici e delle risorse ambientali dell’opera o del prodotto, caratteristiche innovative, commercializzazione e relative condizioni;
il possesso di un marchio di qualità ecologica dell’Unione europea (Ecolabel UE) in relazione ai beni o servizi oggetto del contratto, in misura pari o superiore al 30 per cento del valore delle forniture o prestazioni oggetto del contratto stesso;
il costo di utilizzazione e manutenzione avuto anche riguardo ai consumi di energia e delle risorse naturali, alle emissioni inquinanti e ai costi complessivi, inclusi quelli esterni e di mitigazione degli impatti dei cambiamenti climatici, riferiti all’intero ciclo di vita dell’opera, bene o servizio, con l’obiettivo strategico di un uso più efficiente delle risorse e di un’economia circolare che promuova ambiente e occupazione;
l’organizzazione, le qualifiche e l’esperienza del personale effettivamente utilizzato nell’appalto, qualora la qualità del personale incaricato possa avere un’influenza significativa sul livello dell’esecuzione dell’appalto;
il servizio successivo alla vendita e assistenza tecnica;
le condizioni di consegna quali la data di consegna, il processo di consegna e il termine di consegna o di esecuzione.
Veniamo al caso pratico.
Tar Lazio, sentenza n.9140 del 02/08/2021: la mancata produzione della documentazione attestante il rispetto dei CAM comporta l’esclusione della gara.
I giudici argomentano con molta enfasi la “abitudinaria” modalità di bypassare i CAM da parte delle stazioni appaltanti, statuendo che:
“L’obbligatorietà dei criteri ambientali minimi è espressamente stabilita dalla legge (CDS n.372 del 3 febbraio 2021). Il possesso dei CAM deve essere dimostrato in sede di offerta e non potenzialmente in fase esecutiva. La commissione giudicatrice quindi, deve valutare la rispondenza dei CAM in sede di offerta e non ritenere sufficiente un mero impegno a rispettarli in fase esecutiva. In definitiva, un’offerta formulata senza risultare conforme ai CAM va esclusa.”
Il Caso: azienda in possesso di autorizzazione integrata ambientale che supera i valori relativamente ai decibel da rumore in relazione alle prescrizioni riportate nel titolo abilitativo (AIA) in relazione ai valori imposti con l’ordinanza sindacale adottata. Si chiede se è giusto sanzionare ai sensi dell’art. 29 quattordices del TUA o è più corretto sanzionare ai sensi dell’art. 650 C.P.?
Risposta
Dott. Giuseppe Aiello, Comandante della polizia Municipale di Lioni (AV)
Anche se l’argomento che si affronta con il presente lavoro riguarda aspetti particolarmente tecnici delle fasi di controllo ad impianti produttivi per quanto concerne le emissioni rumorose, forse non alla portata dei normali controlli di spettanza della polizia locale ma, piuttosto, più pertinenti a quelli degli organi specializzati delle ARPA, ho cercato comunque di rendere quanto più semplice e chiaro l’aspetto sanzionatorio legato proprio alle violazioni delle prescrizioni in AIA prendendo spunto dal quesito che mi è stato posto da un Tecnico ARPA, sperando che quanto sotto riportato possa comunque essere di ausilio a tutti gli operatori.
Il caso in esame è caratterizzato da un impianto produttivo in possesso di autorizzazione integrata ambientale che, sottoposto a controlli, risulta produrre emissioni rumorose in decibel superiori a quelli prescritti nel titolo abilitativo, limiti fissati da ordinanza Sindacale. Si chiede se procedere in relazione alla denuncia ex art 650 C.P. oppure in base alle disposizioni sanzionatorie del T.U.A. violazioni alle prescrizioni giusto articolo 29 quattordices del TUA.
IN primis si osserva che L’art. 650 c.p. ,dal titolo “Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità”, come è a tutti noto, recita come segue :< Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene, è punito, se il fatto non costituisca un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a €.206,00. >
La giurisprudenza di legittimità, ha più volte precisato che la norma penale in bianco dell’art. 650 c.p. < è diretta a soddisfare l’interesse della pubblica amministrazione ad ottenere dal privato cittadino una certa prestazione o comunque un certo comportamento e che l’interesse predetto deve essere attuale al momento dell’emissione dell’ordine> , ha più volte ribadito che: ‐ < per provvedimento dell’autorità ,ai sensi dell’art. 650 c.p., deve intendersi ogni atto con il quale l’autorità impone a una o più persone determinate una particolare condotta, omissiva o commissiva, ispirata da una contingenza presente e transeunte.> ‐ < la contravvenzione prevista dall’art. 650 c.p. prevede che l’inosservanza riguardi un ordine specifico, impartito ad un soggetto determinato per ragioni di sicurezza o di ordine pubblico o di igiene o di giustizia, in relazione a situazioni non prefigurate da alcuna specifica previsione normativa che comporti una autonoma sanzione.>
Nel caso in esame, si tratta invece di una ordinanza emanata in materia di fissazioni di limiti rumorosi ed è certamente una ordinanza rivolta non a persone determinate ma a chiunque non rispetti le norme che regolano i limiti di emissioni sonore e rumorose.
Per quanto sopra si ritiene di poter confermare la non applicabilità dell’art. 650 c.p. il fatto che i limiti imposti all’impianto produttivo sono stati indicati nelle prescrizioni contenute nell’AIA per la qual cosa è senza dubbio applicabile l’ articolo 29 quattordices del TUA c. 2.
Per completezza di esposizione si ritiene opportuno precisare che la procedura relativa all’Autorizzazione Integrata Ambientale è disciplinata dal Titolo III–bis, parte seconda del D.lgs. 152/2006 (a seguito delle modifiche introdotte dal D.lgs. 128/2010). L’art. 4, comma 4, lettera c) del D.lgs. 152/2006 e s.m.i.. indica che: “l’autorizzazione integrata ambientale ha per oggetto la prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento proveniente dalle attività di cui all’allegato VIII e prevede misure intese a evitare, ove possibile, o a ridurre le emissioni nell’aria, nell’acqua e nel suolo, comprese le misure relative ai rifiuti, per conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente salve le disposizioni sulla valutazione di impatto ambientale”. Secondo quanto stabilito nelle definizioni (art. 5 del D.lgs. 152/2006) per Autorizzazione Integrata Ambientale si intende: “o-bis) autorizzazione integrata ambientale: il provvedimento che autorizza l’esercizio di un impianto rientrante fra quelli di cui all’articolo 4, comma 4, lettera c), o di parte di esso a determinate condizioni che devono garantire che l’impianto sia conforme ai requisiti di cui al titolo III-bis del presente decreto ai fini dell’individuazione delle soluzioni più idonee al perseguimento degli obiettivi di cui all’articolo 4, comma 4, lettera c). Un’autorizzazione integrata ambientale può valere per uno o più impianti o parti di essi, che siano localizzati sullo stesso sito e gestiti dal medesimo gestore”.
Nella parte che segue del presente contributo si analizza, in particolare, l’aspetto relativo alle sanzioni previste in caso di inosservanza delle prescrizioni dell’AIA.
Una delle principali novità in materia sanzionatoria che rigurada l’argomento trattato venne introdotta dal d. lgs. 46/2014 è consistita, infatti, nella avvenuta depenalizzazione di molte fattispecie di illecito collegate alla violazione delle prescrizioni dell’AIA, le quali sono oggi punite con sanzione amministrativa pecuniaria.
Per una più chiara rappresentazione dell’art. 29-quattuordecies, si riporta il testo vigente con le modifiche introdotte dal d. lgs. 46/2014)
Art. 29-quattuordecies, d. lgs. 152/2006
comma 2. Salvo che il fatto costituisca reato, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.500 euro a 15.000 euro nei confronti di colui che pur essendo in possesso dell’autorizzazione integrata ambienta le non ne osserva le prescrizioni o quelle imposte dall’ autorità competente.
comma 3. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, si applica la sola pena dell’ammenda da 5.000 euro a 26.000 euro nei confronti di colui che pur essendo in possesso dell’autorizzazione integrata ambientale non ne osserva le prescrizioni o quelle imposte dall’ autorità competente nel caso in cui l’inosservanza:
a) sia costituita da violazione dei valori limite di emissione, rilevata durante i controlli previsti nell’autorizzazione o nel corso di ispezioni di cui all’articolo 29-decies, commi 4 e 7, a meno che tale violazione non sia contenuta in margini di tolleranza, in termini di frequenza ed entità, fissati nell’autorizzazione stessa;
b) sia relativa alla gestione di rifiuti;
c) sia relativa a scarichi recapitanti nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano di cui all’articolo 94, oppure in corpi idrici posti nelle aree protette di cui alla vigente normativa.
comma 4. Nei casi previsti al comma 3 e salvo che il fatto costituisca più grave reato, si applica la pena dell’ammenda da 5.000 euro a 26.000 euro e la pena dell’arresto fino a due anni qualora l’inosservanza sia relativa:
alla gestione di rifiuti pericolosi non autorizzati;
allo scarico di sostanze pericolose di cui alle tabelle 5 e 3/A dell’allegato 5 alla Parte terza;
a casi in cui il superamento dei valori limite di emissione determina anche il superamento dei valori limite di qualità dell’aria previsti dalla vigente normativa;
all’utilizzo di combustibili non autorizzati.
Come si vede dal su citato disposto , la violazione delle prescrizioni dell’AIA è ora sanzionata, in termini generali, in via amministrativa (comma 2), mentre continuano a costituire reato contravvenzionale le seguenti fattispecie secondo i sotto indicati criteri :
· per le violazioni indicate nel comma 3 è prevista, infatti, la sola pena dell’ammenda (così com’era, in passato, in forza del previgente comma 2 dell’art. 29-quattuordecies, d. lgs. 152/2006, per tutte le violazioni delle prescrizioni dell’AIA);
· per le violazioni indicate nel comma 4, invece, è applicabile la pena dell’ammenda congiunta alla pena dell’arresto.
Ritornando al caso di violazioni delle prescrizioni AIA è opportuno ancora una volta precisare che la sanzione pecuniaria di cui al comma 2 si applica oltre che in caso di violazione delle prescrizioni dell’AIA, anche nell’ipotesi di inosservanza di «quelle imposte dall’autorità competente». ad esempio, una diffida che imponga particolari obblighi di “fare” o “non fare”.
La trasformazione in illecito amministrativo delle ipotesi di violazione delle prescrizioni dell’AIA comporta che ad esse si applichi la generale disciplina di cui alla legge 689/1981, eccezion fatta per la possibilità di pagamento in misura ridotta di cui all’art. 16, che in tal caso è espressamente esclusa secondo quanto stabilito dal comma 11 del citato art. 29-quattuordecies il quale prevede che << 11. Alle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente articolo non si applica il pagamento in misura ridotta di cui all’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689>>. Quindi, nel caso di specie sarà necessario apposita ingiunzione da parte dell’Autorità Competente che dovrà valutare l’entità della sanzione amministrativa pecuniaria partendo da 1.500 euro fino a 15.000.
Si precisa altresì che secondo il comma 12.<< Le sanzioni sono irrogate dal prefetto per gli impianti di competenza statale e dall’autorità competente per gli altri impianti>>.
Per quanto riguarda la destinazione dei proventi sanzionatori delle violazioni alle prescrizioni AIA , previste dal comma 2, sono successivamente riassegnati ai pertinenti capitoli di spesa del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e sono destinati a potenziare le ispezioni ambientali straordinarie previste dal del codice ambiente, comma 4, nonché le ispezioni finalizzate a verificare il rispetto degli obblighi ambientali per impianti ancora privi di autorizzazione.
Sempre restando in tema di sanzioni applicabili in caso di violazione delle prescrizioni dell’AIA non si può non affrontare l’aspetto relativo ai provvedimenti di natura “inibitoria” e/o “ripristinatoria” contemplati dall’art. 29-decies, comma 9, d. lgs. 152/2006, il quale dispone che
<< In caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie o di esercizio in assenza di autorizzazione, ferma restando l’applicazione delle sanzioni e delle misure di sicurezza di cui all’articolo 29-quattuordecies, l’autorità competente procede secondo la gravità delle infrazioni:
a) alla diffida, assegnando un termine entro il quale devono essere eliminate le inosservanze, nonché un termine entro cui, fermi restando gli obblighi del gestore in materia di autonoma adozione di misure di salvaguardia, devono essere applicate tutte le appropriate misure provvisorie o complementari che l’autorità competente ritenga necessarie per ripristinare o garantire provvisoriamente la conformità , b) alla diffida e contestuale sospensione dell’attività per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni, o nel caso in cui le violazioni siano comunque reiterate più di due volte all’anno;
c) alla revoca dell’autorizzazione e alla chiusura dell’installazione, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazioni di pericolo o di danno per l’ambiente;
d) alla chiusura dell’installazione, nel caso in cui l’infrazione abbia determinato esercizio in assenza di autorizzazione.>>.
I provvedimenti di cui al comma 9 , in caso di inosservanza delle prescrizioni dell’AIA, vengono ad aggiungersi all’applicazione, per le medesime violazioni, delle sanzioni amministrative o penali previste dal citato art. 29-quattuordecies comma 2 .
Sempre restando sull’argomento è necessario altresì aggiungere che il 30 dicembre 2016 è entrato in vigore il D.M. 17 ottobre 2016, n. 228. “Regolamento recante la definizione dei contenuti minimi e dei formati dei verbali di accertamento, contestazione e notificazione relativi ai procedimenti di cui all’articolo 29-quattuordecies del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.” Quindi nella contestazione delle relative violazioni dovrà essere utilizzato il predetto modello così come previsto nell’allegato 2 al DM n 228/2016 che si allega.
L’allegato 1 al D.M. 228/16 riporta le informazioni minime che devono essere contenute nei verbali di accertamento, contestazione e notificazione di procedimenti di cui all’articolo 29-quattuordecies del D.Lgs 152/06:
identificazione del trasgressore e dell’obbligato in solido
percorso di accertamento con distinzione tra: accertamento diretto durante visita in loco e contestazione immediata, accertamento successivo a visita ispettiva in loco e contestazione differita tramite notificazione della violazione, accertamento successivo a verifica documentale in ufficio
norma violata con relativi articoli e sanzioni previste
dettaglio della violazione con riferimento allo stato dei luoghi e alle prescrizioni AIA
contestazione immediata, differita o tramite notificazione del verbale
notificazione del verbale brevi manu o mediante servizio postale o mediante ufficiale giudiziario o altro soggetto notificatore o via PEC
autorità competente: prefetto competente per territorio per gli impianti di competenza statale, ufficio regionale o provinciale per gli altri impianti
sanzione e modalità di pagamento: importo minimo e massimo della sanzione amministrativa pecuniaria
modalità e termini di presentazione degli scritti difensivi
spese di procedimento
dichiarazioni del trasgressore e degli altri interessati
avvertenze e note
responsabile del procedimento
verbalizzante
Agosto 2021 Dott. Giuseppe Aiello.